LA RESISTENZA IN VALPOLCEVERA

 

La Valpolcevera  ebbe un ruolo di grande rilevanza nella storia dei venti mesi della Resistenza. Basta percorrere le strade dei suoi quartieri, da Certosa a Pontedecimo per trovare traccia di quegli eroi della libertà di cui oggi si ricorda il nome solo perché è quello di una via o una piazza: Via Jori, Via Fillak, Via Zamperini, Piazza Rissotto sono solo alcuni esempi.

Anche a Trasta troviamo tracce di questo eroico percorso. Le targhe che troviamo lungo le vie del nostro quartiere, celebrano alcuni di quei giovani che tra il 1943 e il 1945 hanno combattuto e dato la vita per la libertà di tutti noi.

Negli anni della seconda guerra mondiale e della Resistenza, la realtà socio-economica della Valpolcevera la rese un obiettivo appetibile prima al regime e poi agli occupanti nazi-fascisti. Lungo tutto il corso del Polcevera sorgevano diverse industrie che davano occupazione a decine di migliaia di persone.

In questo contesto sociale si formarono i primo oppositori al regime. Già nel 1922 alcuni antifascisti di Bolzaneto respinsero l’avanzata di un gruppo di fascisti sul ponte di San Francesco e li costrinsero alla fuga verso i Barabini di Teglia. Poi la guerra con i suoi orrori mise a dura prova la popolazione che tirò un respiro di sollievo alla caduta di Mussolini, ignara del fatto che la pace sarebbe stata ancora lontana.

Già dalla sera dell’8 settembre 1943, all’annuncio del’armistizio,una folla festante si radunò a Bolzaneto. Riccardo Rissotto, smorzando gli entusiasmi, esortò i presenti a preparasi al peggio perché le truppe tedesche avrebbero occupato la città, e concluse il suo discorso dicendo: “Renderemo la vita impossibile al nemico”.

Questo divenne lo scopo primario della Resistenza: boicottare, sabotare e fermare il nemico ad ogni costo e con ogni mezzo.

Intanto l’occupazione proseguì e sia i Tedeschi che le Brigate Nere riuscirono ad insediarsi sul territorio.

A Trasta il comando fu stabilito in località Barabini, nell’area antistante i giardinetti Ugo Bottaro.

In realtà, dopo un primo sopralluogo, i tedeschi avrebbero dovuto insediarsi in Via Trasta al civico 39, mentre le truppe sarebbero state sistemate di fronte nella sede dell’attuale Fabbrica Terranova. 

Testimoni ricordano che un posto di blocco di Brigate Nere fu posizionato nei pressi del ponte della ferrovia in Via Trasta.

Nell’autunno del 1943, per iniziativa dei comunisti, si costituirono i primi G.A.P. (gruppi di azione patriottica) che condussero azioni di guerra contro il nemico e si distinsero per l’audacia e l’imprevedibilità delle loro azioni: sabotaggio, eliminazione di spie, uccisione di ufficiali e gerarchi nemici.

Intanto si svilupparono anche le S.A.P. (squadre di azione patriottica) che coinvolsero un numero sempre maggiore di cittadini sui luoghi di lavoro, nelle scuole, nei quartieri con compiti di supporto logistico e informativo ai combattenti, il recupero di armi, l’approvvigionamento alimentare e di vestiario, la produzione di documenti falsi ecc.

Nelle fabbriche lo sciopero divenne un altro strumento di lotta partigiana, a costo di durissime rappresaglie da parte dei nazi-fascisti sotto forma di fucilazioni e deportazioni di massa.

Uno degli episodi più tragici della repressione contro la protesta nelle fabbriche si ebbe il 16 giugno 1944: le truppe naziste circondarono le fabbriche San Giorgio, Siac, Piaggio e i cantieri navali per prelevarne a forza gli operai. 1500 lavoratori furono deportati  su 43 vagoni verso il lavoro forzato in Germania. Molti di essi non tornarono più a casa.

Altro aspetto fondamentale della Resistenza furono le “bande” partigiane di montagna, costituite da ex-militari, antifascisti dichiarati e semplici ragazzi che non intendevano arruolarsi nell’esercito di Salò. Una delle prime organizzazioni fu la cosidetta “banda di Cichero” che si formò nell’entroterra di Chiavari. Nell’ottobre 1943, i capi di questi primi gruppi armati si riunirono sul monte Antola per cercare di coordinare al meglio le operazioni di attacco alle formazioni nemiche. Nonostante le pesantissime rappresaglie contro le formazioni partigiane (si ricordi fra tante l’eccidio della Benedicta dell’aprile 1944), il numero dei combattenti crebbe, fino ad arrivare nell’agosto 1944 alle 6000 unità.

Le formazioni erano ormai ben strutturate e più efficienti dal punto di vista tattico-militare. L’entusiasmo cresceva grazie alle azioni vittoriose e alle notizie che davano il fronte alleato in avvicinamento.  Superate le rivalità e le divisioni i combattenti della montagna erano pronti all’ultima lunga fase della resistenza. Con il morale fiaccato dal rigido inverno del 1945 e le difficoltà di approvvigionamento delle armi, finalmente si giunse alla primavera.

Già dai primi giorni di aprile si avvertì che qualcosa stava cambiando: si cominciò con una serie di scioperi, i gerarchi fascisti avviarono le trattative diplomatiche per consegnarsi agli alleati in caso di cedimento dei tedeschi, i quali il 21 cercarono di predisporre la propria ritirata in cambio della rinuncia alla distruzione di infrastrutture e fabbriche. La proposta fu respinta dal CNL. Le S.A.P. si mobilitarono e nella notte tra il 23 e il 24 occuparono le stazioni di Cornigliano, Sestri, Pegli e Pra. Nel frattempo vennero liberate anche le fabbriche e le cittadine di Masone e Rossiglione. All’alba del 24 l’insurrezione era in pieno svolgimento, obiettivo: impedire la ritirata dei tedeschi verso la Pianura Padana. La mattina del 25 aprile il generale Meinhold, comandante delle truppe tedesche a Genova, si incontrò con i capi del C.N.L. nella residenza del Cardinale Boetto a S. Fruttuoso: era la resa finale. Un gerarca del più potente e temuto esercito europeo si arrese a semplici e, finora, oscuri civili. Alle 21.30 la notizia si diffuse: GENOVA ANTIFASCISTA HA VINTO!

La guerra continuò ancora fra le colonne nazifasciste che rifiutavano la resa e i partigiani. Infine, il pomeriggio del 26, il Generale Almond guidò le forze alleate in città. Era davvero la fine di un incubo.

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